10.10.07
La guerra di Mario - storia di un bambino diverso
di GIORGIO MORGIONE
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L’infanzia, l’adozione,
la malavita napoletana raccontate nell’ultimo
film di Antonio Capuano.
di Giorgio Morgione
Regia: Antonio Capuano
Soggetto e sceneggiatura: Antonio Capuano
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Giorgio Franchini
Produzione: Indigo, Medusa, Domenico Procacci
Durata: 100’
Un bambino che disegna su una
parete qualunque, su quaderni e muri di scuola, ovunque,
che aspetta col verde e attraversa col rosso, che
preferisce confessarsi a Mimmo, il suo cane trovatello
e non alla madre, un bambino che a volte fa pensieri
di morte, di guerra, di armi, mutilazioni e altre
crudeltà. Si chiama Mario, ha nove anni ed
è il protagonista de La guerra di Mario, l’ultimo
film di Antonio Capuano.
La storia di Mario Ciotola (Marco Grieco) si consuma
a Napoli, divisa tra due mondi cittadini lontani l’un
l’altro, quello borghese dei quartieri signorili
e quello degradato e banditesco di Ponticelli. Al
primo appartiene Giulia (Valeria Golino), la madre
adottiva, al secondo Mario e i suoi veri genitori:
un contrabbandiere semisconosciuto e Nunzia (Rosaria
De Cicco), donna di strada piena di guai. Capuano
ci tratteggia una personalità fantastica, quella
di un bambino scampato al reclutamento minorile della
camorra grazie all’affidamento e che adesso
non trova un proprio posto nel mondo; la dimensione
poetica e struggente di un’infanzia “diversa”,
dall’ascendente potentissimo, capace di cambiare
le sorti di chiunque le offre amore e comprensione.
Giulia più di chiunque altro, l’unico
essere umano capace di avvicinarsi ai pensieri del
bambino, o meglio, soltanto a quella parte di essi
che raggiunge la superficie; Giulia, professoressa
d’arte contemporanea, espressione di una nuova
napoletanità che cerca di emanciparsi dalle
brutture morali della sua città, è un
fragile anello di congiunzione tra il mondo di Mario,
dove le scelte si fanno fuori degli schemi sociali,
dov’è l’indipendenza dello spirito
e lo stupore per le cose semplici e autentiche, e
quello di tutti noi, delle tutrici, degli psicologi,
dei giudici affidatari. Sandro (Andrea Renzi) è
il compagno di Giulia, un uomo di sani principi, forse
anche troppo perfetto, che tenta con ogni sforzo di
accogliere Mario, ma la personalità del bambino
gli sconvolge l’esistenza, lo respinge, tronca
sul nascere ogni suo tentativo di comunicazione fino
a costringerlo a gettare la spugna e allontanarsi
per qualche tempo. La sua guerra Mario la combatte
su più fronti, non solo contro le benevolenze
troppo facili di chi in fondo vuole decidere per lui,
ma anche contro la consuetudine, le regole sulle quali
gli adulti appiattiscono le loro vite. Giulia gli
compra un vero pianoforte e dice che se gli piace
potrà studiare musica per suonarlo, ma per
Mario, certo bambino per cui la scuola è un
grande tavolo da disegno, il codice stradale un gioco
di colori e incomprensibili figure, un appuntamento
è un incontro senza orario e senza giorno,
per Mario le cose non stanno come dice Giulia. E così
ammiccando al pianoforte le ribatte con rabbia: «Si
deve studiare pure questo? Non c’è niente
che non si deve studiare a casa tua?».
Vivendo questa esperienza Giulia scava anche dentro
se stessa, libera tutto il suo bisogno di essere madre
e accende un amore via via sempre più intenso
verso il bambino. Di tanto in tanto lo accompagna
nel quartiere dove è nato, affinché
il passaggio alla sua nuova vita possa avvenire in
modo graduale. Lì Mario rivede Luciano, il
suo compagno di banco che ha abbandonato la scuola
per imboccare il tunnel della malavita. Luciano è
con gli amici di strada, è sicuro di sé,
sembra un adulto e quando Mario gli domanda se torna
a scuola qualcuno dal branco gli risponde: «la
scuola è un brutto carcere, il carcere è
una bella scuola». Mostrando l’ambiente
nativo di Mario, i linguaggi e le vite che lo animano,
Capuano ci narra pezzi della propria autobiografia.
La città di Napoli e la napoletanità
sono per il regista partenopeo un bisogno di stare
nel suo mondo, per raccontare al meglio storie di
quella città irripetibile, che sono poi anche
le sue storie (probabilmente Capuano non saprebbe
fare così bene se non girasse a Napoli). La
guerra di Mario è certamente un film testimonianza,
che offre lo spaccato di un’attualità
drammatica e spesso ignorata, lasciata “correre”
perché ritenuta un male incurabile; è
l’etica della malavita, che ha strada facile
nelle personalità plasmabili dei più
giovani, quelli che non vanno a scuola, che le scuole
le distruggono senza un motivo apparente. Un film
raccontato con estremo realismo, con strumenti essenziali
ma efficaci, una fotografia dai colori intensi, che
si spengono lentamente quando Mario sprofonda nei
suoi pensieri spaventosi, ma che in altri attimi,
per la loro vitalità, fanno pensare alle pennellate
degli impressionisti. La pellicola precedente, Luna
rossa (2001), entrò nella selezione ufficiale
per la 58a Mostra del cinema di Venezia, La guerra
di Mario fa un sorpasso nei meriti: è candidato
al Festival del cinema di Locarno e Valeria Golino
vince il David di Donatello 2006 come migliore attrice
protagonista.
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