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Filosofia
10.05.07
Heidegger e Marx. Due titani a confronto
di FABRIZIO SIMONCINI
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Brevissimo resoconto sul giudizio consegnatoci da Heidegger
in merito all’opera di Marx
A Marx sono stati attribuiti ogni sorta di appellativi,
è stato indagato ogni aspetto della vita
privata nel tentativo di trovare elementi che lo connotassero
non come il mentore della classe
operaia, bensì come un cinico e sprezzante opportunista
al pari di tanti borghesi a lui così
avversi. Ma tutto questo ci interessa ben poco e non
fa che confermare l’idea di fondo che
quando non si riesce ad avere la meglio sulle tesi di
un avversario ci si inoltra volentieri nel
particolare effimero e nel sempre accogliente, e spesso
ipocrita, ambito della morale. Sono
comunque pochi coloro tra i pensatori, o riconosciuti
come tali, che non hanno saputo resistere,
in questo secolo, alla tentazione di confrontarsi con
il pensiero marxiano.
Esiste però un’autorevole eccezione, e
questo brevissimo accenno teoretico, a un possibile
confronto fra titani della riflessione, si concentra
proprio sullo studioso che invece sembra aver
ignorato Marx quasi completamente, liquidandolo con
poche battute, e si vedrà come.
L’eccezione ha il nome altisonante di Martin Heidegger,
filosofo il cui pensiero ha avuto forse
più eco nel ‘900. Il giudizio sull’opera
di Heidegger è fra i più controversi.
Come Steiner
giustamente ricorda, si passa da coloro che lo ritengono
“non solo il più eminente filosofo o
critico della metafisica da Immanuel Kant in poi, ma
che faccia parte di quel ristretto gruppo di
autorevoli pensatori occidentali che include Platone,
Aristotele, Cartesio, Leibniz ed Hegel.” Altri
invece sostengono che “anche una discussione polemica
su Heidegger è semplicemente
irrilevante: i suoi scritti sono una selva di impenetrabile
verbosità; i problemi che pone sono
pseudoproblemi; le dottrine che avanza sono, per quanto
se ne può capire, o false o
grossolane.”1 Indipendentemente da come la si
pensi sull’autore di Sein und Zeit, di lui
interessa il modo alquanto bizzarro con cui ha liquidato
il pensiero di Marx. E’ emblematico
come Heidegger schivi i colpi della teoria marxiana
semplicemente bollandola come
“umanismo”, di fatto non affrontando nessuna
delle questioni in essa aperte. Vediamo come nel Brief
über den Humanismus: Ma in che cosa consiste l’umanità
dell’uomo? Essa riposa nella sua essenza. Ma partendo
da dove, e come, si determina l’essenza dell’uomo?
Marx pretende che l’“uomo umano” venga
conosciuto e riconosciuto. Egli lo trova nella “società”.
Per lui l’uomo “sociale” è
l’uomo “naturale”. Nella “società”
la “natura” dell’uomo, cioè
la totalità dei “bisogni naturali”
(nutrimento, vestiario, riproduzione, sussistenza economica),
è assicurata in modo uniforme.
Più avanti:
Ma se per umanismo si intende in generale la preoccupazione
che l’uomo diventi libero per la sua umanità,
e trovi in ciò la sua dignità, allora
l’umanismo è diverso a seconda della concezione
della “libertà” e della “natura”
dell’uomo. Ugualmente sono 1 G. Steiner, Heidegger,
trad. it. (di D. Zazzi), Heidegger, Milano, Garzanti,
2002, pp. 10-11. Diverse anche le vie che portano alla
sua realizzazione. L’umanismo di Marx non ha bisogno
di alcun ritorno all’antico, e ancor meno l’umanismo
che Sartre concepisce come esistenzialismo.
Infine:
Ogni umanismo o si fonda su una metafisica o pone se
stesso a fondamento di una metafisica del genere. E’
metafisica ogni determinazione dell’essenza dell’uomo
che già presuppone, sapendolo o non sapendolo,
l’interpretazione dell’ente, senza porre
il problema della verità dell’essere. […]
Nel determinare l’umanità dell’uomo,
l’umanismo non solo non si pone la questione del
riferimento dell’essere all’essere umano,
ma impedisce persino che si ponga una simile questione,
perché, a causa della sua provenienza metafisica,
l’umanismo non la conosce e non la comprende.
(2)
Dunque Heidegger ritiene le tesi di Marx un umanismo
del tutto particolare e fra i tanti
possibili, un umanismo, come ci spiega, diretto esclusivamente
alla cura dell’ente e non
dell’essere, quindi irrilevante ai fini di una
discussione filosofica. E’ importante notare anche
la
relatività con cui sono poste le teorie che potrebbero
interessare la cura degli enti. Sarebbero
tanti gli umanismi quante sono le concezioni di libertà
che gravitano intorno alla natura
dell’uomo. Nei fatti è abbandonata ogni
concezione del tempo come fattore determinante per la
creazione e lo sviluppo di una eticità e di una
società conforme alla misura più propria
dell’uomo. Il tempo è qui solo visto come
un fattore di occultamento delle problematiche intorno
all’essere.
Anche lo stesso Steiner, precedentemente citato, si
guarda bene dall’inserire Marx tra i
grandi pensatori dell’umanità e, al pari
di Heidegger, lo rimuove a priori. Non che sia importante
stilare una lista, più o meno condivisa, dei
giganti della storia del pensiero, ma l’effettiva
attenzione a questa lista segnala un modo di pensare
che implica un dialogo nel tempo, ma che rimuove il
tempo, intorno agli interrogativi fondamentali per e
della esistenza umana. La difesa potrebbe insistere
sul fatto che gli argomenti toccati da Marx esulano
dall’ambito prettamente filosofico, ma ciò
appare pretestuoso in quanto Marx non solo ha rivoluzionato
la dialettica hegeliana, ma ha affrontato in modo del
tutto nuovo e originale questioni quali il metodo empirico
di indagine scientifica, ha introdotto modificandola
la concezione materialistica della storia, creando così
nuove categorie concettuali che prefigurano un sistema
in cui si riscontrano, per la prima volta, correlazioni
tra la forma di una società e le forze produttive
che la esprimono. La colpa di Marx è forse quella
di aver pensato l’uomo, concepito universalmente,
come un essere forgiato dal tempo. Tanto basta.
(2) M. Heidegger, Wegmarken, trad. it. (di F. Volpi),
Segnavia, Milano, Adelphi Edizioni, 1994, pp. 273-275.
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