23.03.09
La Berlinale incanta il suo pubblico
di FABRIZIO SIMONCINI
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Il festival del cinema di Berlino rappresenta un appuntamento unico nel panorama dei festival internazionali. Il binomio film città crea ogni volta un’atmosfera irripetibile. Potente veicolo di modelli culturali, ricca nelle svariate proposte gastronomiche quanto lo sono le etnie presenti, in questa metropoli non mancano certo il divertimento e i luoghi carichi di storia, che in molti hanno visto materializzarsi davanti ai propri occhi mediatici non troppi anni fa. Il miscuglio di tali ingredienti rende ogni angolo di Berlino come magico e nonostante sia stata interamente distrutta durante la seconda guerra mondiale il suo fascino sembra incredibilmente accrescersi.
Per chi conosce un poco le vicende tedesche sa quale crocevia ha rappresentato Berlino nei destini della nazione germanica e per chi è attento, e vuole entrare empaticamente nel suo cuore pulsante, può ritrovare le ferite procurate dalla sua storia in un ceppo commemorativo, in un giardino, in una bacheca o in un sobrio monumento, profonde ferite sparse negli angoli più disparati di una città che più conosci più vorresti vivere e quasi possedere.
E quest’anno la Berlinale, non a torto, ha voluto un poco celebrare se stessa. Accanto alla classica competizione dei lungometraggi in concorso (Wettbewerb) abbiamo assistito a una rassegna dedicata al cinema tedesco con ben dodici film presentati (Perspektive Deutsches Kino) e, a latere della ormai classica sezione Panorama, alla riproposizione degli ultimi dieci film vincitori premiati dal pubblico in sala con votazioni in presa diretta all’uscita della proiezione.
Tra questi è stato piacevole rivedere Berlin is in Germany, una storia dal sorriso amaro sulle difficoltà incontrate da una famiglia divisa da vicende politiche che si ritrova, con mentalità e costumi antitetici, a distanza di decenni dopo la riunificazione delle due Germanie, e Im toten Winkeln - Hitlers Sekretärin film tradotto e presentato nel nostro Paese da Feltrinelli col titolo la Segretaria di Hitler. Si racconta in questo documentario, realizzato con camera fissa e senza l’ausilio di musiche o particolari effetti, la testimonianza di Traudl Junge che visse a stretto contatto con Hitler, come segretaria, nel bunker fino all’arrivo delle truppe sovietiche. Documentario che ha ispirato la realizzazione del film Der Untergang, che tanto ha fatto discutere in Germania, in italiano presentato come La caduta interpretato, nel ruolo del Fuhrer, da Bruno Ganz, reso celebre nel nostro Paese dalla commedia di Silvio Soldini Pane e tulipani.
Tra i ventisei film presentati nella sezione Wettbewerb solo diciannove si sono sfidati per l’Orso d’oro. Ben sette lungometraggi erano fuori concorso e tra questi ha spiccato The Reader, per la regia di Stephen Daldry, con un cast d’eccezione: Kate Winslet, Ralph Fiennes, David Kross, Bruno Ganz. La storia è tratta dal romanzo di Bernhard Schlink, Der Vorleser, in italiano edito da Garzanti col titolo A voce alta. È la storia di un adolescente che vive un’esperienza travolgente con una donna molto più grande d’età di lui e che lo segnerà per tutta la vita. Dopo i primi momenti dettati dalla passione viene fuori, dietro le apparenze di uno strano carattere a tratti freddo a tratti quasi ingenuo, la vita di una donna segnata dall’aver partecipato, come guardia nazista di un campo, allo sterminio degli ebrei. Svelare di più della trama significherebbe tradire sia il cinefilo che il lettore. Il solo disagio che resta è vedere un film ambientato in Germania recitato in inglese ma il racconto è ben strutturato e commuove. Anche il libro da cui è tratto merita attenzione.
Cheri invece è il film di Stephen Frears interpretato da una ancora bellissima Michelle Pfeiffer (Lea) e da un giovane esordiente, decisamente bravo, Rupert Friend (Cheri) che credo avremo modo di vedere ancora. Siamo nella Parigi della bell’époque, le centre du monde come si diceva allora della capitale, agli inizi del secolo scorso quando tutto sembrava lasciasse il posto al solo progresso delle arti e delle scienze, condito da infiniti divertimenti, amori, moda. Nel regno della borghesia trionfante fatto di agi e antichi vizi aristocratici, apparentemente perfetto, prende forma l’amore tra un giovanissimo ragazzo, Cheri appunto, e Lea invitata dalla madre di lui, anch’essa ai suoi tempi donna di compagnia, per educarlo all’arte dell’amore.
Lea è una cortigiana avanti nell’età ma ancora affascinante che ha abbandonato questo genere di lavoro, ma che inaspettatamente si ritrova a far i conti con il proprio cuore che comincia a tradire il battito per il giovane allievo. Lo stesso accade al giovanotto che tra le braccia di una donna colta ed esperta trova la parte migliore di sé. Un imprevisto farà cambiare la prospettiva a entrambi e mostrerà, dietro la violenza oscurante della passione, i crudi vincoli che la natura e la società insieme impongono agli uomini. L’ultima scena finale, in cui troviamo Lea davanti allo specchio come davanti a se stessa, richiama chiaramente la citazione del film Le relazioni pericolose, in uno scambio di ruoli e di tempo fra l’allora giovane verginale Madame de Tourvel e l’attuale cortigiana Lea, segnata ormai da un lontano passato di mondana gloria che ora riesce ad accogliere in sé solo il vuoto della solitudine.
Va segnalata la qualità recitativa dell’attrice che ha vinto l’Orso d’oro come migliore interprete femminile Birgit Minichmayr nel film tedesco Alle Anderen, dove una giovane coppia si confronta in un duello psicologico senza soste per conquistare il potere sull’altro nel loro rapporto, il tutto nell’arco temporale di una vacanza in terra sarda.
La sezione Panorama ha riservato anche quest’anno piacevoli sorprese, fra le quali un film, un po’ surreale ma ricco di patos, dal titolo Solo quiero caminar, in cui la vita di quattro ragazze votate al crimine e alla prostituzione si intreccia con quella di violenti criminali, coi quali si confronteranno in una sorta di sfida finale in salsa sudamericana.
Non è dato sapere il motivo per cui il cinema italiano quest’anno, all’interno della Berlinale, è stato pressoché escluso. Certamente la pessima considerazione di cui gode il Governo italiano all’estero e la mancanza di registi innovativi all’infuori dei soliti noti ha influito pesantemente. Il cinema è lo specchio di una società e la società italiana segna drammaticamente il passo, da un lato con la restrizione di seri aiuti da parte dello Stato alla cultura, dall’altro perché si ha la sensazione che quei pochi denari destinati al cinema vengano dirottati a clientele che hanno l’unico merito di compiacere il potere.
A Berlino era presente il solo Ermanno Olmi con un documentario nella sezione Kulinarisches dal nome evocativo Terra madre. La prima parte è un resoconto sulla terza edizione del convegno internazionale dell’associazione Slow Food svoltosi a Torino nell’ottobre 2008, dove più di 6.000 fra contadini pescatori cuochi si sono ritrovati per parlare di sviluppo dell’agricoltura e di cibo. La seconda parte, quella più cinematografica, si trasforma in una celebrazione della vita agricola con immagini e descrizione del tempo contadino come solo Olmi sa fare. Il messaggio è un chiaro invito a trovare nel rispetto della natura e nel suo utilizzo equo e solidale la soluzione ai problemi della fame nel mondo e dei cambiamenti climatici.
Infine l’Orso d’oro per il miglior film è andato a La teta asustada di Claudia Llosa. |