A proposito dell'intervento di Fabrizio e della replica di Giorgio.
Chiedo scusa per occupare altro spazio nel merito di una questione che ha già spazientito a sufficienza. Sarà una brevissima aggiunta. Giorgio si chiedeva giustamente che diavolo intende Perrella con etica? Non mi permetto di
rispondere solo perchè non sono sicuro che lo farei in modo del tutto appropriato. Rimando per chi fosse interessato a due luoghi appassionanti di agomentazione dove è possibile avvicinarsi ad una possibile risposta: il seminario sull'etica di Lacan e il bellissimo libro "Il tempo etico" di Perrella. Si tratta di due luoghi psicanalitici. Non
credo sia facile accedere al senso dell'etica che intende Perrella a priscindere dalla sua esperienza psicoanalitica. Quindi un campo di esperienza individuale e molto pratico. Ho sempre pensato che gli psicoanalisti dovrebbero dedicare un pò di tempo a spiegare il concetto di etica psicoanalitica, perchè dare per scontato che chi ascolta
capisca con il solo supporto del termine è del tutto irrealistico. E' vero che chi vuole può capire ma non si può pretendere che tutti vadano a leggersi i testi più adatti. Inoltre mi sembra del tutto evidente che questo termine è pensato in tuttaltro modo sia nella filosofia che nel senso comune. Aggiungo che l'etica non è la morale, non ha molto a che vedere per esempio con il codice deontologico e l'etica professionale. Queste sono piuttosto il sintomo di una mancanza di etica. Un pò come Paolo di Tarso trattava la Legge: una stampella a sostegno dell'incapacità di amare e di essere giusti come Cristo. Ma non può essere la Legge a fare la giustizia perchè questa dipende solo dall'atto "giusto". Si può essere iniqui nel rispetto della legge (vedi Previti e Berlusconi) e si può essere giusti nel non rispetto della legge (vedi Antigone). Ma finchè non si riesce ad essere giusti è meglio rispettare la legge perchè questa nasce comunque con l'intento di aiutare ad esserlo. Scusate se torno ad un livello molto più basso ma prima di tutto l'etica ha a che fare con l'atto che ogni uomo compie ogni volta che sceglie, anche quando non nè è consapevole.
La morale, la teoria, la conoscenza, il transfer verso il soggetto supposto sapere, ecc... sono tutte stampelle che utilizziamo per risparmiarci ogni volta di compiere un atto nel senso pieno. Nel discorso sul metodo Cartesio ha effettuato questa operazione di incontrare al di là di tutte le sovrastrutture simboliche il reale della propria soggettività fondante il mondo. Ogni volta il mondo è quello che abbiamo più o meno "scelto" che sia. Non nel senso di una produzione delirante o di idealismo assoluto, ma nel senso che il mondo in sè non esiste ed esiste solo un mondo relazionato a noi e alla nostra possibilità di accoglierlo.
Per gli antichi ad esempio era piatto, fermo, ecc... Quello che è il mondo in sè non ci è ne mai ci sarà accessibile. La scienza e la filosofia sono tentate dall'idea di non aver bisogno di rifondarsi etica mente ogni volta convinti che ci si possa accontentare della fondazione che Cartesio ha fatto una volta per tutte e per tutti. Questo atteggiamento contribuisce molto alla produzione di questa enorme pigrizia
ed indifferenza che caratterizza il tempo in cui viviamo. Ma basta guardare con un pò di attenzione e ci rendiamo conto che non è così. Il fisico non è soggettivamente
escluso dall'esperimento perchè ad esempio è in base alla sua scelta che una particella si manifesta come corpo o come energia. Il principio di indeterminazione stabilisce che solo l'atto osservativo fissa la realtà della materia. Ma non voglio addentrarmi in un ambito che non è il mio e con sò maneggiare in modo appropriato. Parlare dell'atto e dell'etica come di qualcosa di generale o di fondante
l'Essere in generale significa parlare dell'atto di Dio che si dice sia inconoscibile. Il nostro atto è invece molto più tangibile e conoscibile anche se un pò più difficile da
trasmettere.
Davide di Francia