29.12.07
Su „Della epistemologia“ e ancora su
Perrella
Lo scritto di Fabrizio Della epistemologia lo considero
un buon lavoro e soprattutto utile a tenere accesa
una discussione su un tema certamente di non facile
trattazione quale quello del rapporto tra scienza
ed etica. Sono dalla sua, inoltre, quando chiarisce
l’equivoco sorto circa l’interpretazione
teologica dell’atto e cerca di spegnere le
fiamme di quei riferimenti alle ingerenze della
Chiesa che tale interpretazione ha alimentato. Non
penso che l’articolo di Perrella, per quanto
su molti punti discutibile, voglia affermare –
anche soltanto tra le righe - un primato teologico
come principio inerente all’atto, piuttosto
mi è parso mantenersi nei limiti della sua
dichiarazione d’intenti, ossia di porsi come
un tentativo (a mio parere mal riuscito, e cercherò
di spiegare il perché in seguito) di giustificare
una ri-ammissione del primato dell’etica nell’epistemologia.
Una sola cosa non mi convince dello scritto di Fabrizio,
ed è la conclusione a tinte enfatiche dirottata
sulle cause delle due guerre mondiali. Sugli esiti
sociali del positivismo di fine 800 e inizi 900
e sulla loro capacità di contribuire allo
scoppio del conflitto, piuttosto che di scienza
parlerei di tecnica. Ma è ovvio che si tratta
di un altro tema, sebbene la tecnica non possa prescindere
dal discorso della scienza e dell’epistemologia.
Per tornare a Perrella e all’epistemologia
triadica, dico subito che non riconosco all’etica
un primato sulla scienza essendo il fondamento di
quest’ultima da ricercarsi sì in un
atto, ma che non ha nulla a che vedere con l’atto
l’inteso da Perrella. Quello che maggiormente
mi fa riflettere è esattamente il nucleo
della trattazione, ovvero che il concetto di „etica“
viene identificato con quello di atto fondativo.
Mi domando per quale ragione nel 2007 si dovrebbe
far coincidere un atto fondativo con l’etica?
Un atto fondativo appartiene certamente alla dimensione
della metafisica, ma a meno che questa metafisica
non si voglia ridurla ad una teologia o a qualcosa
di simile all’idea del sommo Bene platonico,
qualunque etica, sia essa prescrittiva, sia essa
descrittiva, non può costituire un primato
per l’atto.
Direi piuttosto che l’etica rappresenta un’istanza
regolativa, la quale assume un proprio ruolo quando
è rivolta all’uso di ciò che
deriva dall’atto fondativo, e non invece all’atto
fondativo stesso.
Dice Perrella (pag. 5):
«La fenomenologia trascendentale, dicevamo,
in altro non consiste che nel ritorno, nel quadro
della logica moderna, d’un riconoscimento
della funzione fondativa dell’atto. Nonostante
le apparenze, dunque, tutta la filosofia trascendentale
– da Cartesio in poi – è un effetto
del ristabilimento, nell’ambito della dottrina
dualistica (ontologica e logica) della scienza moderna,
d’un riferimento all’atto che la rende
triadica, riaffidando all’etica (all’atto)
la sua funzione epistemologica fondante.
Che la scienza possa – e quindi debba –
essere fondata nella vita mi pare un sano principio
di ragione, che nessuna concezione dualistica potrà
mai smentire. E che una scienza fondata nell’atto
– oltre che nell’essere e nel logos
– sia anche immediatamente triadica, a questo
punto, è totalmente autoevidente».
E’ solo un esempio di come può non
risultarmi chiaro cosa si vuol intendere qui per
etica: parliamo di una disciplina che si occupa
di come agisce e di come deve agire l’uomo
oppure di una disciplina che si occupa di un qualche
principio libero di volontà? E se valesse
quest’ultima ipotesi, nell’atto libero
di una volontà, nel momento stesso in cui
si produce nel soggetto, si può già
parlare di eticità, o non è forse
l’atto libero di una volontà il principio
al quale consegue il ragionamento etico?
Per accreditare la teoria del primato dell’etica
nell’epistemologia Perrella chiama in causa
anche Kant. Ma Kant ha notoriamente scritto molto
ed è possibile che nella sua opera qualcosa
sfugga. Nella Dialettica trascendentale infatti,
precisamente nel paragrafo intitolato Risoluzione
delle idee cosmologiche riguardanti la totalità
della derivazione degli eventi del mondo dalle loro
cause, il tedesco affronta il problema di una causalità
secondo libertà, nel tentativo di isolare
il principio causale di un atto libero. Da questa
lettura emerge un dato rilevante per il presente
tema: prima ancora che etico, il problema della
causalità secondo libertà è
squisitamente logico, e la ragione umana non potrebbe
andare oltre senza sfociare in una mera illusione
trascendentale (cosiddetta „antinomia della
ragione“). Pertanto la conclusione di Kant
è che si può soltanto mostrare la
possibilità ideale (logica) della libertà,
ovvero la sola pensabilità della libertà.
Ora, se in luogo della causalità secondo
libertà kantiana ponessimo l’atto fondativo
di cui parla Perrella, potremmo soltanto ammettere
che esso (l’atto) è soltanto quello
che è in sé, nei limiti della ragione,
senza possedere ancora alcunché di etico
e che inerisce piuttosto alla sfera dell’ontologia
prima e della logica poi. Inoltre, se si considera
che l’etica è la dottrina che si occupa
di stabilire ciò che è buono e ciò
che non lo è nell’agire umano, non
bisogna forse anche ammettere che nel ri-portarla
a fondamento dell’epistemologia si afferma
nello stesso tempo che l’atto è un
fatto puramente soggettivo e che di conseguenza
anche la scienza lo è? Dove fa a finire la
pretesa oggettività della scienza?
Parlare di etica a fondamento della scienza significa
pensare questo fondamento come avente un principio
finalistico, quando invece si tratta di un atto
che connota in senso logico (secondo ragione) un
dato ontologico. L’atto è perciò
una causalità immanente e in questi termini
afferma un chiaro principio materialistico. Il primo
sorgere di un enunciato scientifico non si cura
affatto di stabilire se i suoi contenuti siano etici
oppure no, esso ha davanti a sè soltanto
la valenza oggettiva di ciò che afferma (la
qualità può essere nel farmaco così
come nell’ordigno).
La funzione dell’etica nell’epistemologia
si rende necessaria nel momento in cui la scienza
fa il suo ingresso nella dimensione della vita associata.
L’etica non è pertanto fondante, bensì
regolativa e la scienza dal canto suo prosegue indisturbata
nello sforzo di formulare oggettivamente i propri
enunciati. In conclusione, quello che secondo Perrella
dovrebbe essere il fondamento etico della scienza
mi appare piuttosto come una connotazione a posteriori
dell’atto fondativo della scienza. Se questo
è vero allora l’epistemologia non nasce
triadica, ma casomai lo diventa; quando nella scienza
si pone un fine diverso dalla scienza stessa, ecco
che si rende necessario contemplarla anche sotto
l’aspetto etico, dunque, finalmente, secondo
i tre aspetti di cui parla Perrella.
Saluti, Giorgio.
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