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Filosofia


05.05.2007
Del nostro tempo nichilista
di ADRIANO SIMONCINI

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“Noi che siamo posti alla fine dei tempi”, predicava di sé e dei suoi contemporanei Ottone di Frisinga. Perché in ogni epoca almeno un profeta ha avvertito il trapassare dei significati e lo ha proclamato al mondo. E se anch’io qui, più modestamente, affermassi che un ciclo storico è finito, essendo venuti meno gli antichi valori europei della religione, della filosofia, della morale, troverei forse il consenso di coloro che mi leggono.

E continuerei ad averlo se aggiungessi che la mancanza di scopi e di valori ultimi caratterizza questo nostro tempo disincantato. La scienza, che ha secolarizzato la vecchia immagine del mondo, spogliandola dell’originario velo mitologico-religioso e riducendola a nuda oggettività, ha prodotto l’inarrestabile disincanto. Risultato sconvolgente di tale razionalizzazione il politeismo e, conseguentemente, l’equipollenza dei valori che hanno portato alla svalutazione di tutti i credo e di tutte le norme, fino a rendere inutili e addirittura stupide prescrizioni e proibizioni. L’uomo di oggi si caratterizza per la perdita del centro, in quanto non s’inchina a nessuna autorità e non presta fede a nessun principio. Non ha un punto archimedico che gli consenta di sollevarsi dalla vanità del tutto. Ne derivano processi di consunzione e svanimento che attaccano ogni risorsa economica, psichica, estetica, religiosa: ateismo, fatalismo, pessimismo, egoismo, indifferenza le nuove tavole della legge che ci consegnano inermi alla drammatica finitudine di un’esistenza priva di trascendenze che le diano un senso. Se i miei lettori sono ancora d’accordo sappiano - ma mi avranno preceduto nella formulazione - che questo è nichilismo. A parte Ottone di Frisinga, infatti, le precedenti affermazioni sono un sintetico e approssimativo collage di riflessioni di alcuni filosofi che si sono confrontati col nichilismo. Nel proporle ho seguito il saggio di Franco Volpi Nichilismo, Laterza 1996. Nichilismo, dal latino nihil, niente, nulla: una filosofia che vede in Nietzsche il suo rivelatore e il suo maieuta, colui che ha fatto prendere coscienza al mondo dell’evento blasfemo: Dio è morto. Frase che scandalosamente riassume quanto detto finora. I nichilisti sono stati presentati al grande pubblico in film, il più delle volte comici, come dinamitardi barbuti, ingenui e insieme irresponsabili - gli anarchici panslavi di Bakunin - i quali parevano non saper bene che fare oltre il tirar bombe contro le carrozze dei sovrani della belle époque. I cultori della letteratura russa conoscono invece gli eroi nichilisti di Turgenev e Dostoevskij, mentre i liceali per i quali lo studio della filosofia è piuttosto un’imposizione che un’esigenza associano forse Nietzsche e nichilismo. Non riflette il grande pubblico che il nostro tempo è nichilista in toto, pur senza aver letto Nietzsche, il quale comunque non era un demonio né un pazzo, anche se pazzo morì. Infatti “chi non ha sperimentato su di sé l’enorme potenza del niente e non ne ha subito la tentazione conosce ben poco della nostra epoca” (Jünger-Heidegger, Oltre la linea, Adelphi 1989). Nietzsche, è vero, ha avuto l’improntitudine di affermare che l’inizio del processo storico che ha portato al venir meno dei valori tradizionali - Dio, la verità, il bene - è in Platone, quando pose la dicotomia tra mondo sensibile e mondo ideale, conciliabile solo nella mente del sapiente, aprendo così il varco alla negazione dei valori. Su questa via perseverò il cristianesimo, che indicò il mondo vero nell’aldilà, e nella penitenza e negazione di questo il modo per raggiungerlo. Kant scrisse poi il terzo capitolo del platonismo-nichilismo argomentando: il mondo soprasensibile è irraggiungibile e indimostrabile, è un imperativo morale. Crolla ogni certezza: solo la ragione pratica postula un Dio. La frana metafisica è iniziata e il positivismo vi s’inoltra: se il mondo vero è irraggiungibile e inconoscibile, cosa ci può vincolare a esso? Ignoriamolo e disinteressiamocene. Lo scetticismo e l’incredulità hanno vinto. E’ il momento di Nietzsche, che trae le inevitabili conclusioni del processo millenario. Constata che il mondo ideale è divenuto inutile e ne prende atto: va abolito, cancellato. Le conseguenze sono devastanti sul piano conoscitivo e pratico: il divenire dell’essere - che è poi il nostro esistere - non ha più un fine, non mira a nulla, non raggiunge nulla; non v’è un principio unificatore che gerarchizzi e organizzi il reale, non esiste la verità. Nietzsche, per aforismi e frammenti, tenta di sfuggire al demone che ha suscitato e delinea la sua via d’uscita dal nichilismo: la volontà di potenza, il superuomo, l’eterno ritorno ne sono le espressioni a volte esoteriche. Ma il problema - lo vive il nostro tempo - è tuttora aperto e il pensiero si macera per intravederne la soluzione. La quale non è soltanto gratuitamente teoretica (ero stato tentato di scrivere accademica, come spesso accade di dispute filosofiche), ma drammaticamente esistenziale. Proporrò soltanto, a conclusione, le sconsolate e terribili riflessioni di Jünger: nel deserto che cresce occorre erigere un baluardo interiore che preservi alcune oasi di libertà - la morte, l’eros, l’amicizia, l’arte: consentiranno all’individuo di resistere all’imperversare del nichilismo. E di Heidegger: occorre sperimentare fino in fondo la potenza del nulla perché giunga ad esaurimento e lo si possa superare. Nell’attesa dell’ “altro inizio” - “ormai soltanto un dio ci può salvare” - il solo punto d’appoggio nel vortice del nichilismo è per il pensiero la capacità di pazientare, l’ “abbandono”. Su questa sorprendente conclusione dell’ultimo Heidegger - paradossale in quanto accanto al nichilismo radicale convive un’incompatibile incrinatura mistica - s’affatica il dibattito contemporaneo, riproponendosi l’insoluta interrogazione gnostica: chi siamo? donde veniamo? dove andiamo?

Adriano Simoncini


Messaggio 1 – Giorgio, 17 maggio ’06

So che Adriano scrive molto bene, ho potuto constatarlo in diverse occasioni, tra cui nel suo "Ai cancelli del vento", ma per questo articolo francamente sono rimasto deluso. Anzitutto mi sembra scritto molto di fretta, con una sintassi a tratti sciatta e soprattutto pieno di contraddizioni, quando non anche di luoghi comuni. Faccio soltanto un paio di esempi, anche perché in fondo non devo essere soltanto io ad esprimere un parere in merito. Prendiamo la seconda metà del primo paragrafo e la prima metà del secondo. Adriano ci dice che la scienza ha secolarizzato l'immagine del mondo, secolarizzazione (che definisce anche «razionalizzazione») che avrebbe prodotto uno «sconvolgente» politeismo. Poco dopo afferma che dalla stessa secolarizzazione -almeno così m'è parso di capire- derivi, tra le altre cose, l'ateismo. Altro appunto: cosa vuol dire che l'uomo «non ha un punto archimedico che gli consenta di sollevarsi dalla vanità del tutto» (riferendomi specificatamente all'espressione «vanità del tutto»)? E ancora, appena dopo, scrive che un'esistenza priva di trascendenza è nichilismo e qui, devo dire, l'affermazione mi sembra un po' azzardata: checchè ne sappia il sottoscritto il nichilismo non equivale soltanto al professarsi senza dio (senza dio? Oggigiorno? Dove anche noi, che da questa parte abbiamo fatto la storia della secolarizzazione, ci troviamo tutti nel mirino delle nuove guerre di religione?). Ciò va detto soprattutto quando -ed è questo il caso dell'articolo di Adriano- si vuole andare a concludere su ciò che è il nichilismo odierno e sugli strumenti con i quali dovremmo porvi rimedio, un nichilismo -e non ci vuole un Severino a dircelo- un bel po' diverso da quello di Nietzsche, Turgenev, Dostoevskij e degli anarchici bombaroli d'inizio secolo: ciò che qualcuno definirebbe meglio col termine «relativismo».

Messaggio 2 – Andrea, 18 maggio ’06

Bene, visto che è partito il dibattito via e-mail, dirò brevemente anch'io la mia. Condivido la critica di Giorgio, in particolare nel passaggio in cui osserva che nichilismo non equivale a professarsi senza dio, tanto più che, tra l'altro, abbiamo conviso nella costituzione di discutere su basi laiche.
Può darsi che non abbia capito bene il senso dell'articolo, se è così a maggior ragione urge una discussione.

Messaggio 3 – Fabrizio, 19 maggio ’06

Rispondere in merito alle questioni sollevate sarà lungo e faticoso ma ci provo. Intanto chiederei che all'interno del confronto tra i soci si evitassero termini quali sciatto o altri giudizi trancianti. Li ritengo ingenerosi nei confronti di coloro che comunque si sono sbattuti per scrivere e condividere con noi questa esperienza, magari sia pure con la sola attenzione o curiosità. La discussione deve essere puntuale nel merito e non centrata con parole a effetto che poi nascondono in se stesse un'opposta carenza di argomentazioni.
Dire che l'articolo di Adriano è "pieno di contraddizioni, quando non anche di luoghi comuni" mi sembra, cercando di usare termini non volgari, alquanto eccessivo. In primo luogo perché in appena due paginette risulta difficile spiegare un tema quale il nichilismo, interi scaffali di biblioteche se ne occupano, e secondariamente perché l'autore ha tratto questi ragionamenti ne più e ne meno che dal citato libro di Volpi.
Riguardo le presunte contraddizioni, affermare che il nichilismo (cioè l'assenza di valori o per dirla alla Heidegger quella particolare modalità di presentarsi del niente e di agire sull'uomo che potremmo definire nientificazione) abbia prodotto da un lato il politeismo e dall'altro l'ateismo non è una supposizione che si contraddice tutt'altro, in quanto per politeismo non s'intende il politeismo esclusivamente religioso ma la pluralità di valori che la società ha prodotto e che, semplificando molto, si potrebbe declinare come il dio denaro, il dio potere e tutte le forme che si possono da ciò derivare. Per questo caro Giorgio il politeismo così inteso (relativismo e proliferazione dei valori) non è in contraddizione con l'ateismo anzi ne è una delle principali cause.
Inoltre Giorgio scrive: "cosa vuol dire che l'uomo «non ha un punto archimedico che gli consenta di sollevarsi dalla vanità del tutto» (riferendomi specificatamente all'espressione «vanità del tutto»)?" Semplicemente che quando è impossibile identificare per l'uomo una verità definita e precisa, sia essa l'esistenza di Dio (la trascendenza) o la necessità di una continua e progressiva crescita delle sorti future dell'umanità (il pensiero tracciato da Marx e Hegel per intenderci), il tutto (sia esso una finalità religiosa o storico-culturale) risulta vano, perché appunto semplicemente relativo. Infatti in una concezione di quella risma il nazismo può essere senza dubbio equiparato al comunismo o alla stessa democrazia proprio perché la totale assenza di un pensiero forte lascia all'uomo la totale e libera scelta e l'assoluta equipollenza di ciò che va a scegliere.
Faina poi scrive: "Condivido la critica di Giorgio, in particolare nel passaggio in cui osserva che nichilismo non equivale a professarsi senza dio, tanto più che, tra l'altro, abbiamo condiviso nella costituzione di discutere su basi laiche". Certamente nichilismo significa non solo la morte di dio e della metafisica (come ho accennato sopra), ma ciò che non riesco a capire è che cosa significhi discutere su basi laiche un articolo. Il problema, mi sembra d'intuire, starebbe nel fraintendimento generato dalla dichiarazione di Heidegger "Solo un dio ci può salvare". Questa affermazione, certamente equivocabile da un non filosofo, racconta la visione del filosofo tedesco, il quale, dopo una vita di studi e una serie di corpose pubblicazioni, esprime un disagio "esistenzialista" con quella frase rimasta famosa. Se ora, non è nemmeno possibile citare Heidegger perché il suo pensiero potrebbe adombrare una visione non laica dell'articolo che si va a scrivere, allora siamo veramente alla fine di ogni ricerca libera e non ideologica.
Se poi approfondendo vogliamo sottolineare che il dio di Heidegger non è certamente quello cristiano, ma per intenderci è l'idea di una trascendenza che, secondo Heidegger, ci costituisce sul piano dell'essere, questo forse può aiutare a capire che la discussione è tutt'altro che banale e non riducibile a una mera semplificazione e contrapposizione tra laicismo e clericalismo.

Messaggio 4 – Giorgio, 20 maggio ’06

Se certi termini con cui ho espresso le mie opinioni sull'articolo di Adriano possono essere stati offensivi mi dispiace. E' vero, sciatto è un'espressione soggettiva, una questione di gusto. Resta il fatto che -e sarà pure un mio modo di rapportarmi, soprattutto a chi mi è caro- personalmente non ci trovo nulla di offensivo.
Circa i contenuti dell'articolo vorrei dire due cose. La prima è che riconosco di aver frainteso l'espressione "vanità del tutto" e ti ringrazio di avermela chiarita. La seconda invece si riferisce alla tua supposta congruenza tra ateismo e politeismo, tra politeismo e relativismo: ho l'impressione che l'ottica dalla quale inquadri la connessione sia già essa stessa relativista. Mi spiego. Se ateismo e relativismo (come sorta di nichilismo) possono ricadere sotto o associarsi al concetto di politeismo, bisogna che tale concetto sia inteso in un senso ben fuori dalla vulgata. Faccio un po'fatica a porre i tre ismi sul piano della sinonimia, in special modo il relativismo/nichilismo col politeismo. Politeismo, polys theos, molti dei. Come va inteso concettualmente il lemma? Se sta a dire che l'individuo si rappresenta la divinità al plurale ed ognuno dei suoi dei ha un significato e un valore alla pari di ogni altro allora il politeismo pone tutto il suo costrutto trascendentale (ben agli antipodi di un relativismo/nichilismo); se al contrario la pluralità degli dei, in ragione di una perfetta equipollenza delle loro forze, finisce per nullificare il piano trascendentale, allora si tratta di un politeismo per me del tutto nuovo, un politeismo che è al contempo ateismo, che cioè è entrato a forza tra i familiari del relativismo/nichilismo.

Messaggio 5 – Andrea, 20 maggio ’06

La citazione di Heidegger non c'entra. Non sono le citazioni che mi preoccupano, ma il messaggio complessivo che emerge: nella sua denuncia "del nostro tempo nichilista", infatti, si denuncia un tempo senza dio (almeno sul fatto che Adriano abbia declinato il termine "nichilismo" nel senso di "ateismo" mi pare che siamo tutti d'accordo, o no?). Di più, non soltanto ci si lamenta del fatto che il nostro tempo ha rinunciato al piano della trascendenza (se fosse davvero così, chi sono quei milioni di visitatori presenti ai funerali dell'ultimo papa?!), ma addirittura si bolla questo cattivo "ateismo" in "relativismo", finendo così per sposare in pieno il Ratzinger-pensiero. Ora, non solo penso che si possano avere pensieri forti anche senza dio, ma ricordo anche che abbiamo condiviso la laicità tra i presupposti del nostro progetto.

Messaggio 6 – Doli, 21 maggio ’06

L'articolo di Adriano tocca molti punti nodali della filosofia moderna.
Vorrei ri sottolineare un punto che mi pare nodale, e che identifico come elemento di divisione tra filosofi e non citando Fabrizio.

"Solo un dio ci può salvare". Questa affermazione, certamente equivocabile da un non filosofo, racconta la visione del filosofo tedesco, il quale, dopo una vita di studi e una serie di corpose pubblicazioni, esprime un disagio "esistenzialista" con quella frase rimasta famosa. Se ora, non è nemmeno possibile citare Heidegger perché il suo pensiero potrebbe adombrare una visione non laica dell'articolo che si va a scrivere, allora siamo veramente alla fine di ogni ricerca libera e non ideologica.
Per piacere riflettiamo bene su questa faccenda: se il pensiero di Heidegger
è non laico siamo fritti...

 


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2007 La Fornace